Federico Tomasello – DALLA FINE DELLA STORIA ALLA GUERRA CIVILE MOLECOLARE: SU ALCUNI PARADIGMI DI CONFLITTO DELL’ETÀ URBANA

(estratto da Paradoxa 2/2016) Le ipotesi qui presentate riprendono alcuni contenuti del testo pubblicato dall’autore, La violenza. Saggio sulle Frontiere del politico (Manifestolibri 2015)   Il compiersi a ritmi sempre crescenti di quella che nel 1970 Henri Lefebvre definiva Rivoluzione urbana fa oggi dell’urbanizzazione un tema rilevante per ogni dominio delle scienze umane, sociali e politiche. Gli studiosi parlano dell’avvento di una civiltà urbana, mentre nella comunità internazionale si fa uso del termine Urban age per designare il fatto che ben oltre metà del genere umano vive ormai in aree urbanizzate, e che questa porzione pare destinata a crescere esponenzialmente fino a raggiungere il 75% degli abitanti della Terra entro il 2050 (cfr. http://unhabitat.org). I geografi sono impegnati nello studio di processi che consentono di pensare come un unico spazio urbanizzato anche macroaree regionali per il livello di integrazione del loro sistema di infrastrutture, trasporti, organizzazione del lavoro, del commercio e dei servizi. Il generale accordo su una visione ‘urbano-centrica’ dell’attuale momento geostorico ha fatto perciò dell’urbanizzazione una sorta di archivio generale cui rubricare ogni discorso sullo sviluppo delle geografie umane, al punto che il mondo stesso viene rappresentato sovente attraverso metafore urbane, come un ‘metacittà’ avente il suo ‘centro’

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Gianfranco Pasquino – PERCHÉ SONO SCOMPARSE LE CULTURE POLITICHE IN ITALIA

(estratto da Paradoxa 4/2015) Quella fatidica notte tra l’8 e il 9 novembre 1989, il muro di Berlino crollò non soltanto sugli impreparati partiti politici italiani che avevano dominato la storia della prima lunga fase della Repubblica, praticamente cancellandoli, ma si abbatté anche sulle loro, evidentemente già diventate evanescenti, culture politiche. Chi, già sappiamo che continuano ad essere pochissimi, rileggesse gli Atti della Costituente, noterebbe immediatamente quanto significativi, importanti, produttivi sono stati i riferimenti alle maggiori culture politiche del tempo: liberalismo, cattolicesimo-democratico, socialismo e comunismo, con cenni an-che al pensiero federalista. Molti articoli della Costituzione portano chiara l’impronta di ciascuna e di tutte quelle culture politiche. Se nell’art. 11 si trovano echi del federalismo, il monumento alle culture politiche è rappresentato dall’art. 3 nel quale il lessico offre l’esempio migliore di come i Costituenti volessero evidenziare il pluralismo delle loro culture e la loro convergenza su quello che molti considerano il principio predominante della Costituzione italiana. Questo principio non è, a mio parere, l’eguaglianza in quanto tale, ma il compito affidato alla Repubblica, ovvero ai cittadini, di rimuovere gli ostacoli per dare vita ad una convivenza basata sulla partecipa-zione. La menzione dei ‘cittadini’ richiama la cultura politica liberale e, in

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Marco Valbruzzi – CINQUE TESI SULL’ASSENZA DI CULTURE PARTITICHE IN ITALIA

(estratto da Paradoxa 4/2015) PREMESSA ALLE TESI In mezzo alla caotica politica italiana, c’è una certezza sulla quale può facilmente convenire l’opinione della maggior parte degli studiosi e dei politici: nel corso degli ultimi venticinque anni non si è vista traccia, tra i mutevoli ed effimeri partiti politici, di una qualsivoglia forma di cultura politica. Chi ha provato ad elaborarne una, in realtà pochi intellettuali isolati e inconcludenti, ha dovuto ben presto ammettere la propria sconfitta. Questo è il dato di partenza da cui prende spunto il numero di questa rivista, vale a dire la scomparsa o – come meglio preciserò a breve – l’assenza di una visione culturale nella politica italiana. Com’è emerso da molti degli articoli inclusi in questo fascicolo, la grande slavina che, tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, ha travolto l’intero sistema partitico della prima fase repubblicana (1947-1992), ha finito per lasciare dietro di sé soltanto macerie e pochi e del tutto fugaci tentativi di elaborazioni culturali alternative. Tra questi pochi sforzi, finiti purtroppo in un nulla di fatto, va certamente incluso il breve tentativo «ulivista» di inserire il centrosinistra italiano all’interno della discussione che a metà degli anni Novanta aveva

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Ioannis Papageorgiou – CRISI GRECA, CRISI EUROPEA E CRISI DI LEGITTIMITA’ IN EUROPA

(estratto da Paradoxa 3/2015) Introduzione Alle prime ore del mattino del 13 luglio 2015, dopo diciassette ore di negoziati al vertice dei capi di stato dell’Eurozona – e molte ore di più a livello dell’Eurogruppo e di altri gruppi tecnici – la Grecia ha concordato con gli altri partner europei un terzo pacchetto di salvataggio per l’economia in crisi del Paese. Questo risultato ha messo fine al più recente, e speriamo ultimo, capitolo della ‘tragedia’ greca, iniziata nel 2010 con l’incapacità del Paese di finanziare il suo debito pubblico e la conseguente richiesta di assistenza presentata all’Eurozona. La crisi era nata come una crisi del debito pubblico, che un Paese dotato di una politica monetaria indipendente avrebbe potuto risolvere con una svalutazione della propria moneta. Tuttavia, l’esclusione di questa possibilità per i Paesi che fanno parte dell’unione economica e monetaria europea ha portato lo spettro del default economico del Paese all’interno dell’Eurozona o, peggio ancora, la Grexit, cioè, la fuoriuscita dalla zona euro o addirittura dall’Unione Europea – visto che i Trattati prevedono una procedura per l’uscita dall’Unione europea, ma non dall’Unione monetaria, che si suppone irreversibile. La crisi greca è stata soprattutto una crisi generata da cause interne. Messe

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Dino Cofrancesco – CONSUMISMO CULTURALE. LA SINISTRA CI RIPENSA

(estratto da Paradoxa 3/2014) Il consumismo da qualche tempo non sembra più il cavallo di battaglia dell’area politico-culturale progressista, che si riconosce nel centro-sinistra (un centro-sinistra, peraltro, molto esteso, variegato e conflittuale al suo interno), né dell’area politico-culturale ancorata a una visione premoderna e tradizionalista della storia e della società contemporanea. Certo gli eredi dei Lumi, di Condorcet, di Marx, di Gramsci, non hanno deposto le armi e la critica della società dei consumi (era il titolo di un saggio di Jean Baudrillard) trova ancora intellettuali militanti impegnati nella denuncia. Qualche anno fa è uscito, per fare un solo esempio significativo, uno scritto di Zygmunt Bauman intitolato Consumo quindi sono (Ed. Laterza 2006) che sembrava riprendere le fila di un discorso consegnato a un testo ormai ‘classico’ come la Dialettica dell’illuminismo di Adorno e Horkheimer (tenuto ben presente da Paolo Flores d’Arcais nel fascicolo 6/2013 di «MicroMega», dedicato al tema L’intellettuale e l’impegno), una critica radicale, per non dire spietata, dell’industria culturale. «Società dei consumatori» – vi si legge – è il tipo di società che promuove, incoraggia o impone la scelta di uno stile di vita e di una strategia di vita improntati al consumismo e disapprova qualsiasi opzione

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Oreste Massari – QUANTO CONTANO I PARTITI

(estratto da Paradoxa 1/2014) Nella Prefazione al volume di chi scrive su I partiti politici nelle democrazie contemporanee (Laterza, Roma-Bari 2004), Sartori afferma che: La bibliografia sui sistemi di partito e sui partiti è davvero sterminata e per parecchio tempo ha mescolato assieme il discorso sui sistemi (di partito) con il discorso sui partiti come tali, singolarmente intesi. Per fortuna non è più così. Le due indagini possono essere complementari, ma certo sono diverse […] Nei miei studi io mi sono occupato dei sistemi (p. IX) intendendo implicitamente dire che non si è occupato di partiti «come tali, singolarmente presi». Ora è vero che l’interesse prevalente del Nostro si sia rivolto alla dimensione sistemica dei partiti e in particolare alla tipologia dei sistemi di partito (G. Pasquino, La teoria dei sistemi di partito, in G. Pasquino (a cura di), La scienza politica di Giovanni Sartori, il Mulino, Bologna 2005), testimoniato da quell’opera del 1976 – Parties and Party Systems – che è oramai divenuta un classico. Ed è vero che nella sua pur estesa bibliografia non compare una monografia sul tema dei partiti. Ma non è vero che non ci sia stato interesse anche per «il livello di analisi […]

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Sergio Belardinelli – LA PRODUZIONE CULTURALE NELLA CHIESA

(estratto da Paradoxa 4/2013) Prima di affrontare il tema specifico che mi è stato assegnato – La produzione culturale nella Chiesa – mi sia consentita una considerazione preliminare a proposito del titolo generale: Intellettuali e cattolici. Confesso che qualche volta la parola intellettuale desta in me qualche perplessità. Eppure non ho alcuna difficoltà a qualificarmi come intellettuale cattolico. Sebbene le etichette non mi piacciano, è un’etichetta che non ho mai disdegnato. Del resto ognuno di noi è quello che è; difficile distinguere la parte di noi che dipende dalle convinzioni della nostra fede religiosa e quella che dipende invece da inclinazioni o considerazioni d’altro tipo. L’unica cosa certa è che siamo un’inestricabile mescolanza di fede, ragione, passione, pregiudizi e altro ancora, solo astrattamente separabili tra di loro. Ne va in ultimo dell’unità della nostra persona. Per questo nel dibattito pubblico dovrebbe contare la bontà degli argomenti che ognuno è in grado di mettere in campo, non certo l’etichetta ideologica che appiccichiamo loro addosso. Sennonché, in Italia, è proprio questo che, per cattolici e laici, sembra risultare estremamente difficile. «La mia storia è quella di un uomo che ha iniziato la sua vita credendosi un autentico cattolico e un autentico liberale,

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Franco Chiarenza – IMPIGLIATI NELLA RETE. E-DEMOCRACY UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA LIBERALE

(estratto da Paradoxa 3/2013) C’era una volta… Grillo e il suo fantasioso quanto effimero movimento pentastellare. Il mondo politico, gli intellettuali dei salotti «politically correct», giornalisti, imprenditori, sindacalisti e quanti altri avevano assistito con sgomento alla clamorosa affermazione elettorale di un partito nato e cresciuto in internet, hanno tirato un sospiro di sollievo quando gli esiti delle elezioni amministrative hanno mostrato un evidente riflusso di un’ondata che si era in gran parte alimentata dell’indignazione diffusa e profonda nei confronti di una classe dirigente del Paese apparsa ai più inadeguata, corrotta, insensibile e arroccata nei propri privilegi. Le difficoltà di un movimento cresciuto al di là delle sue stesse aspettative, privo di riferimenti ideologici condivisi, unito soltanto da un sentimento irrazionale di adesione a una protesta gridata secondo modalità che (non a caso) appartengono più allo spettacolo che alla politica, sono apparse evidenti anche agli osservatori meno prevenuti non appena esso ha dovuto confrontarsi con scelte di governo che avrebbero richiesto livelli ben diversi di maturità e di esperienza. Ma non è di questo che vogliamo parlare, e men che meno degli esiti politici che il movimento di Grillo contribuirà, volente o nolente, a determinare in uno dei momenti più accidentati

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Maurizio Serio – ABBANDONARE IL CORPORATIVISMO PER UNA NUOVA RAPPRESENTANZA

(estratto da Paradoxa 2/2013) La questione della rappresentanza dei cattolici è da non pochi mesi al centro del dibattito culturale e mediatico, ammesso che un centro sia rinvenibile in una situazione assolutamente eccentrica quale è quella che sta attraversando la politica italiana. Lo stato di eccezione che accompagna la transizione dalla Seconda Repubblica a quella che al momento sembra essere una Neverland più che una tappa del processo di rinnovamento del sistema sembra giustificare e allo stesso tempo confinare in un limbo di irresponsabilità tutte le proposte che si vanno avanzando tra l’opinione pubblica non meno che tra i corridoi del Palazzo. Per dare concretezza al problema, sarà forse utile ripensare il nesso tra la cultura politica dei cattolici e gli assunti programmatici necessari a dare risposte all’elettorato, al fine di riconfiguare un corretto rapporto tra offerta e domanda politica, falsato dall’ortoprassi tecnocratica della quotidianità presente e dalla grande paura del déjà vu degli autoritarismi nell’immediato fu A nostro avviso è evidente lo svuotamento delle due grandi forme di rappresentanza della democrazia moderna, quella degli interessi e quella dei valori. La stagione della rappresentanza degli interessi ha coinciso con la stabilizzazione del compromesso costituzionale, che ha dato luogo alla democrazia

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