Laura Paoletti – RIPENSARE LA PENA: TRA KANT, GIOBBE E L’ULTIMATUM GAME

(editoriale di Paradoxa 4/2017) Un ipotetico lettore di «Paradoxa» che fosse tanto appassionato da non perdersi un numero, e che fosse per giunta dotato di buona memoria, potrebbe trovarsi stavolta in qualche imbarazzo: come tenere insieme nell’ambiente teorico e culturale di una medesima rivista il fascicolo 3/2009, che, riproponendo e rilanciando alcune riflessioni di Vittorio Mathieu, stigmatizzava il Senso perduto della pena, ossia il progressivo venir meno di quest’ultima come architrave del sistema giuridico, e questo fascicolo sulla «giustizia riparativa», che azzarda la messa in questione dell’idea stessa che tra colpa e pena vi sia un nesso logicamente consistente? Sarebbe fin troppo facile cavarsela rimettendo a ciascun curatore le sue responsabilità: in realtà la responsabilità davvero sollecitata è quella di «Paradoxa» (e di rimbalzo di chi la legge), la quale, proponendosi come luogo di tensione e non di conciliazione, è chiamata al tentativo di far reagire in modo creativo prospettive che sono e restano diverse, senza alcuna garanzia che tale tentativo riesca. In via del tutto esplorativa, provo a sottolineare due punti di frizione, che scaturiscono da una lettura incrociata dei due fascicoli e che mi sembra costituiscano altrettante feconde direzioni di approfondimento. Uno degli elementi qualificanti della Restorative Justice

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Paradoxa, ANNO III – Numero 3 – Luglio/Settembre 2009

Il senso perduto della pena a cura di Francesco d’Agostino Il fascicolo 3/2009 di «Paradoxa», a cura di Francesco D’Agostino, riflette sul senso della pena nella società contemporanea a trent’anni dall’uscita di Perché punire di Vittorio Mathieu (20072), che ne firma l’editoriale. Nel contributo del curatore, il volume del filosofo torinese viene valorizzato per la sua capacità di formulare il quadro giuridico in una cornice metafisica, riportando il senso della pena alle origini dimenticate dalla scienza penale moderna. Senza trascurare il confronto con altre culture, come quella orientale analizzata nel contributo di Monateri, «Paradoxa» traccia così un percorso che dalla visione genuinamente metafisica della grecità conduce – con Saraceni – fino ai più problematici esiti applicativi odierni: ci s’interroga persino sulla possibilità di punire il cyborg e sulla definizione della colpa in riferimento alla confusione tra macchina e persona. Si profila un’evoluzione precisa che si muove tra due estremi. Da un lato, la concezione redistributiva tipica della cultura greca, che interpreta la pena come processo di distribuzione e punizione della colpevolezza. Dall’altro, la visione riabilitativa esemplificata nel diritto penale canonico, che legge la pena come restaurazione di un legame interrotto. Tra le due sembra collocarsi la riabilitazione che si svolge

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