Origini

Per una storia di Nova Spes

La Fondazione Internazionale Nova Spes ha alle spalle ormai quarant’anni di vita, essendosi costituita giuridicamente come fondazione internazionale nel giugno del 1979. Anche un periodo meno tormentato e drammatico del resto del cosiddetto «secolo breve», a guardarlo attraverso la lente dell’attività di una fondazione, appare denso, ricco di cambiamenti inaspettati, aspettative disattese. Per una coincidenza legata alle vicende interne della fondazione, la malattia e la morte del suo fondatore e animatore, don Pietro Pace, la cesura nella vita della fondazione con un forte ridimensionamento delle attività tra 1994 e 1997 corrisponde alla fine di uno scenario nel quale essa era nata e maturata – quello della guerra fredda, della divisione in blocchi – e al profilarsi di uno nuovo, quello del mondo multipolare e, in Italia, della cosiddetta Seconda Repubblica, con nuovi assetti politici e nuovi protagonisti.
Articolerò allora questo sintetico sguardo retrospettivo in due paragrafi, relativi alle fasi precedente e successiva il momento di difficoltà della fondazione: la continuità di temi e interessi ha come corrispettivo scenari mutati e anche diversi modi di operare.

Un ponte per il mondo globale nell’era della contrapposizione in blocchi: gli anni 1978-1994

Come detto, Nova Spes si costituisce giuridicamente come Fondazione Internazionale nel giugno del 1979, iniziando però la sua attività già l’anno precedente, nel 1978. Nasce su iniziativa di don Pietro Pace e sull’intuizione di rispondere sul piano culturale ai problemi dell’uomo contemporaneo. Dai primi documenti di lavoro ai testi che esprimono il patrimonio di idee ed esperienze maturato in Nova Spes emergono chiaramente alcune idee guida: la situazione di crisi dell’uomo contemporaneo, legata ad una visione parziale, «parcellizzata» dell’uomo, visione che sviluppa ora l’una ora l’altra delle sue dimensioni; le manifestazioni di questa crisi nell’ambito dei rapporti interpersonali, nei modelli di sviluppo, nel sapere, nell’agire, nella sfera religiosa; la possibile risposta alla crisi in un’azione culturale capace di riunificare e ricomporre l’uomo, un’azione che coinvolga alte personalità nel campo del sapere e personalità responsabili in ambito politico. Obiettivo ultimo di quest’azione culturale era quello di giungere, attraverso una sensibilizzazione sui punti nodali della crisi, ad una cosiddetta «alleanza» delle dimensioni dell’uomo individuate come fondamentali (religione, scienza, economia e comunicazione), e delle forze culturali espressione di queste dimensioni, con la costituzione di un luogo fisico di incontro e di scambio tra i rappresentanti di queste forze. Quest’ambizioso programma, raccolto da un nucleo originario di intellettuali di ispirazione cattolica, ma aperto ad altre ispirazioni, è stato sviluppato con un’elaborazione interna degli strumenti di diagnosi e della proposta, ma anche con iniziative intese come verifica all’esterno della validità della proposta stessa e della sua rispondenza ad effettivi bisogni. Più che seguirlo su base strettamente cronologica, conviene sintetizzarlo enucleando i contenuti di elaborazioni e iniziative, modo in cui potranno emergere meglio organicità e coerenza del progetto.

L’Umanesimo globale

L’uomo, chi è veramente?: con questa domanda Nova Spes faceva confrontare personalità di diversa formazione culturale, fisici, medici (fra cui il premio Nobel John Eccles) filosofi (fra i quali Erich Fromm), operatori dell’informazione, uomini di Chiesa, come il cardinale Franz König, nel I Colloquio Internazionale Nova Spes, organizzato a Roma dal 10 al 12 novembre 1979. Il coinvolgimento di competenze ed esperienze diverse, il far pronunciare uomini di scienza, autorevoli e di fama internazionale, su problemi riguardanti l’uomo, anzi sul problema dell’uomo nel mondo contemporaneo, annunziava quel metodo di «approccio multidimensionale» tipico fino ad oggi delle analisi promosse dalla Fondazione. In discussione un’idea di uomo che Nova Spes poneva di fronte: l’uomo come unità, come persona, che nella totalità delle sue dimensioni si realizza esprimendo il primato dell’essere sull’avere. Questa condizione verso cui tendere, vista come presupposto della realizzazione dei valori e di uno sviluppo autentico della comunità umana, era già posta a fronte di un’ampia diagnosi della crisi dell’uomo contemporaneo.
Questa diagnosi – che puntava, oltre che sulla riflessione sull’uomo, sul tema dei valori – si centrava su alcuni concetti fondamentali: le condizioni umane, lo sviluppo qualitativo, la speranza come dimensione possibile e da perseguire.
La nozione di «condizione umana» è un momento centrale della prima elaborazione culturale di Nova Spes, sviluppatasi poi fino alla pubblicazione, nel 1990, del volume di Laura Paoletti Ermeneutica delle condizioni umane. Le «condizioni umane» definiscono l’uomo nella concretezza delle sue molteplici situazioni esistenziali e di rapporto, molteplicità però suscettibile di essere ricomposta in unità. L’opposto delle «condizioni umane» è la nozione, tipica del pensiero marxista, di «classe», modo questo invece di riportare l’uomo ad un’unica dimensione, quella economica, e in un’interpretazione conflittuale e distruttiva dei rapporti sociali. Non bisogna dimenticare che questa fase dell’elaborazione culturale cadeva in un periodo di perdurante duro confronto tra i paesi occidentali e il blocco comunista (basterà pensare, a titolo d’esempio, all’intervento sovietico in Afghanistan nel 1979) e di culmine dell’odio ideologico in Italia (la sfida armata del terrorismo brigatista aveva avuto il suo apice con il rapimento e l’uccisione, nel 1978, di Aldo Moro). L’elaborazione di una teoria delle condizioni umane con al centro idee come responsabilità e partecipazione, rappresentava, per la collocazione che ha nei documenti di Nova Spes del 1979-1980, la base per una speranza realistica, diversa dalle ingannevoli utopie legate alla lotta di classe o alla società dei consumi. Due tra le prime iniziative seminariali presentano il tema delle condizioni umane: il convegno organizzato nel febbraio 1980 a Lecce su Teoria delle classi sociali o analitica delle condizioni umane?, che rappresenta tra l’altro, per la significativa partecipazione di studiosi di università arabe e turche, uno dei momenti di più forte apertura al mondo islamico e al complesso tema del rapporto tra questo mondo e la civiltà occidentale, e la tavola rotonda del giugno dello stesso anno a Milano su Classi sociali o condizioni umane?.
La centralità delle idee di speranza e di sviluppo è evidente già nella denominazione della fondazione che, nelle sue varie versioni dalla nascita ai primi anni ottanta, mantiene la parola «Spes» e si riferisce allo sviluppo come «sviluppo umano» o «sviluppo umano qualitativo realizzato sui valori fondamentali». A questi temi sono dedicati tra il 1980 e il 1982 due incontri: un seminario su Le dimensioni della speranza nell’uomo contemporaneo nel febbraio 1980 e il Colloquio internazionale Sviluppo umano qualitativo nell’aprile 1982. Entrambi sono prevalentemente di precisazione della proposta e di puntualizzazione delle sue modalità operative. La diagnosi della crisi dell’uomo contemporaneo e dei nodi su cui intervenire definisce alcuni aspetti caratteristici che vengono sottolineati con maggiore consapevolezza: la novità della speranza di cui Nova Spes si fa portatrice, novità che entra nel nome stesso della fondazione; dalle speranze generate dal progresso scientifico a quelle suscitate da ideologie rivoluzionarie quella di Nova Spes ritiene di potersi distaccare perché, si legge nel documento che raccoglie i risultati del seminario del febbraio del 1980, «insita nell’uomo e non nelle strutture sociali e neppure nell’astrattezza delle ideologie». La novità sta quindi nel radicarsi in un umanesimo che potrebbe consentire di ridefinire i rapporti dell’uomo con l’ambiente, con se stesso, con gli altri uomini, in una prospettiva di globalità che manca ad altre analisi, e di ridefinirli via via di fronte a nuove situazioni e cambiamenti senza vincolarsi ad una precisa organizzazione sociale e alla sua proiezione ideologica. Questa convinzione si ritrova, nella produzione culturale di Nova Spes, soprattutto là dove si fa riferimento alla radicalità e velocità dei cambiamenti di cui siamo testimoni e alla necessità di una risposta radicata nei suoi principi ma al tempo stesso flessibile. Questa consapevolezza della propria novità deriva anche da una puntualizzazione del proprio collocarsi nel panorama di iniziative e studi sui problemi mondiali. La presentazione a papa Giovanni Paolo II delle iniziative di Nova Spes, al termine del suddetto Colloquio, conferma una maturazione di linee guida che si preparano, con l’annuncio di un Centro internazionale dell’Alleanza e di un Forum per la promozione dei valori umani, a tradursi in interventi operativi. Interventi pensati in direzione di uno «sviluppo qualitativo», sviluppo cioè non soltanto di beni materiali, di risorse energetiche ecc., ma centrato sull’uomo e la qualità materiale e spirituale della sua vita, sintetizzato con efficaci espressioni in quella stessa occasione da Giovanni Paolo II, espressioni cui Nova Spes si è ripetutamente richiamata nel presentare successivamente la propria proposta: «Sì, la vostra iniziativa può rappresentare una nuova speranza, “Nova Spes”, perché essa comporta il progetto di uno sviluppo umano qualitativo, nel senso originario dell’essere dell’uomo, nella sua integralità, nel dinamismo della sua esistenza».
Il testo che, in questa fase, sintetizza le linee dell’umanesimo di Nova Spes è il volume Punti per un umanesimo della nuova speranza, pubblicato nel maggio 1983. Qui il tema dell’unità della persona viene in primo piano come risposta agli esiti di parte della cultura del Novecento, che ha messo sempre più in questione quest’unità: vi si può vedere un’opposizione all’assolutizzazione del metodo delle scienze, come pure ai riduzionismi dell’antropologia marxista e a quelli impliciti nell’efficientismo economico e nel trionfo della tecnica. La capacità dell’uomo di progettare la propria vita è letta in chiave intersoggettiva, come rapporto con l’altro uomo e con l’Altro che trascende l’uomo e come realizzarsi armonico di una pluralità di dimensioni. Dall’equilibrio di questo progettarsi è possibile delineare nuovi rapporti sociali, rapporti dell’uomo col mondo, rapporti con le culture; quest’articolazione è anche alla base dell’individuazione dei valori intorno ai quali realizzare la ricomposizione dell’uomo e quindi quel punto d’arrivo definito in questa fase «sviluppo umano qualitativo».
L’ultima fase dell’elaborazione di una concezione dell’uomo è stata segnata da un indirizzo più decisamente ermeneutico. Annunciato nel titolo del volume di Laura Paoletti, Ermeneutica delle condizioni umane, del 1990, quest’indirizzo, come esame di molteplici ermeneutiche non con taglio soltanto specialistico ma ricercando ciò che c’è di comune in esse, si concretizza nel seminario tenuto a Roma dal 20 al 22 maggio 1994 su Interpretazione: pluralità e fedeltà, con la messa a confronto delle esperienze interpretative in ambito estetico, giuridico e psichiatrico-psicoanalitico. Nel far incontrare e interagire tra di loro diverse ermeneutiche cominciavano ad emergere tratti comuni (il ruolo del soggetto interpretante, il rapporto con il dato anche nel suo versante di estraneità e inesprimibilità). Sempre nella primavera del 1994 viene pubblicata una nuova sintesi del pensiero di Nova Spes, curata da Vittorio Mathieu e Laura Paoletti: Interpretazione dell’uomo globale.
Se si eccettua il volume di Laura Paoletti Uomo e tempo. Saggio di antropologia filosofica, Roma 1999, si può dire che con questi contributi si esaurisce, alle soglie di quella cesura ricordata all’inizio, il contributo di riflessione propriamente filosofica con la quale Nova Spes ha alimentato negli anni la propria azione di intervento sulla società contemporanea.

Etica e valori

Fin dal primo nucleo dell’elaborazione culturale di Nova Spes il tema dei valori ha avuto un posto privilegiato. Nell’analisi della crisi contemporanea veniva sottolineato, fin dal primo documento della proposta, del 1977, il disconoscimento dei diritti umani, a dispetto della loro solenne proclamazione, e il legame tra questo disconoscimento e la caduta dei valori; corrispondentemente nella «pars costruens» della proposta si poneva l’accento sulla necessità di dar forza ai valori, in primo luogo i valori della persona umana, ed anzi una lettura degli obiettivi di studi, ricerche e interventi contenuti in quella proposta permette di indicare nei valori l’oggetto privilegiato di studio e di azione su cui si incentrava Nova Spes al suo nascere. La centralità dei valori è poi confermata dalla scelta di questo tema per due dei primi incontri organizzati da Nova Spes: la tavola rotonda su Esistenza come realizzazione dei valori, tenuta a Roma nel marzo 1978, e soprattutto il Colloquio Internazionale su La promozione dell’uomo come valore nell’Atto di Helsinki, del novembre 1980. In quest’ultimo il tema dei valori emergeva dalla necessità di un fondamento dei diritti proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 in una situazione internazionale che a cinque anni dalla firma dell’Atto di Helsinki vedeva disattesi molti impegni e la pace e una cultura della pace sempre più minacciate dalla proliferazione nucleare e dall’affievolirsi di segni di distensione. Assunzione della centralità dell’uomo, difesa dei valori come istanza più profonda rispetto a diritti da un lato unanimemente accettati dall’altro messi in questione, in linea teorica e di fatto, nella loro validità universale, e promozione della pace apparivano, negli interventi di quel Colloquio, formare un nesso inscindibile.
La promozione dei valori avviene su un duplice versante, almeno in via programmatica: approfondimento teorico e pronunciamenti e dichiarazioni, interventi quindi più operativi. L’approfondimento teorico è rimasto più allo stato di dibattito interno, infatti in nessuna delle pubblicazioni dei primi anni ottanta che danno la linea di pensiero della fondazione vengono posti a tema i valori. La linea più operativa di enunciazione di valori ricavati induttivamente dalle dichiarazioni sui diritti porta, con un lavoro che va dal 1984 al 1989, alla definizione di una Carta dei valori umani, rivista e ampliata con criteri leggermente diversi nel 1993. La struttura portante, nelle due versioni, risponde alle indicazioni di metodo formulate all’inizio del lavoro: 1) l’indicazione del fondamento dei valori, cioè la persona; 2) le manifestazioni essenziali della persona, ovvero i valori del credere, del pensare, dell’agire e del comunicare; 3) le condizioni dell’esistenza e dello sviluppo della persona, includenti il valore della vita e quello dell’ambiente e della sua utilizzazione; 4) il compimento dei valori, cioè la loro interazione come educazione, la pluralità e complementarietà delle culture e il valore della pace. Alla Carta erano affiancati i riferimenti alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, una nota introduttiva ed una guida alla lettura. Le linee ispiratrici dell’intero progetto erano approfondite in un volume uscito contemporaneamente alla Carta, Per una cultura del valore, con saggi di Vittorio Mathieu, Armando Rigobello, Luciana Lepri, Gaetano Carcaterra e Maria Rita Saulle. Qui la nozione di valore è discussa in generale e in alcuni momenti della storia della filosofia, e viene delineato il rapporto con il diritto come pure la specifica morale che è il risultato di assunzioni di valore, una morale «propositiva». A queste iniziative editoriali Nova Spes dedica nel maggio 1989, a Roma, un convegno: Lo sviluppo globale della persona e della società come realizzazione dei valori umani, momento importante di verifica per le osservazioni e i rilievi sia sul senso generale della proposta stessa, cioè sulla possibilità di portare l’attenzione sui valori nella forma di una «Carta dei valori», sia sulle singole formulazioni. Il rifacimento del testo della «Carta dei valori», pubblicato nel 1993 con il titolo Per una Carta dei valori umani, provava in parte a recepire queste osservazioni affidando a singoli specialisti la stesura delle enunciazioni, corredate da commenti, e ampliando l’arco dei riferimenti giuridici ad altri testi dell’ONU e di organizzazioni internazionali regionali.
L’ultima iniziativa di rilievo relativa a questo progetto è il seminario tenuto a Praga l’11 e 12 marzo 1994 su Linguaggio del valore – linguaggio della speranza. Il confronto in questo seminario tra due culture e sensibilità, quella italiana e occidentale e quella ceca, anch’essa parte a pieno titolo della cultura europea ma con tonalità e filoni propri, e l’apertura all’apporto di altri ambiti disciplinari (le scienze esatte, l’economia, le scienze giuridiche) consentiva di far emergere la centralità della nozione di valore anche nella sua capacità di interrogare lo status delle singole scienze.
Come per la precedente, così anche per questa linea di programma la cesura del 1994 segna l’esaurimento non tanto dell’ispirazione di fondo, quanto della sua esplicitazione in riflessioni sui valori o in iniziative tematicamente rivolte all’etica. Le più recenti iniziative sulla bioetica possono essere iscritte già in un orizzonte decisamente più di etica applicata.
L’approccio multidimensionale ai problemi planetari: il dialogo tra religione, scienza, comunicazione ed economia
Fin dall’esordio l’approccio di Nova Spes ai problemi affrontati si è caratterizzato come multidimensionale: sollecitare uomini di diversa formazione culturale e professionale a confrontarsi con grandi e decisivi problemi dell’umanità, proprio per far emergere, nel dialogo tra discipline diverse e nelle prese di posizione dirette all’opinione pubblica e ai decision-makers, il carattere globale dei problemi e quindi la necessità di risposte globali. La definizione di quest’approccio avviene nel modo più solenne e impegnativo con la presentazione a papa Giovanni Paolo II degli obiettivi di Nova Spes nell’incontro internazionale di studio su Alleanza operativa tra religione, scienza, comunicazione, economia, il 14 settembre 1982 a Castelgandolfo. Anche successive iniziative ritornano a definire i contorni di questo dialogo tra i diversi ambiti culturali per il progresso dell’uomo.
Uno sguardo complessivo sull’attività di Nova Spes mostra una fase, che arriva fino al 1990, nella quale la proposta nella sua efficacia su singoli problemi, nel suo lato più autorevole, impegnativo e solenne, è affidata a ristretti consessi di autorevoli personalità del mondo della scienza, della politica, della religione: incontri di vincitori di premi Nobel (nel 1980, 1987, 1988, 1989), colloqui internazionali. Se si considera come intento fondamentale di Nova Spes l’individuazione di punti nodali della crisi contemporanea per elaborare una proposta che intervenga su quei punti, allora l’intera attività di elaborazione interna può essere vista come preparazione di una piattaforma (antropologica, morale, in certo senso politica) su cui avviare il dialogo tra personalità del mondo del sapere e conseguenti forme di intervento. Soprattutto la serrata cadenza degli incontri dei vincitori di premi Nobel tra il 1987 e il 1989 mostra una volontà di istituzionalizzare questi incontri, così come i documenti conclusivi presentano (nella diversa ampiezza dell’analisi dei temi di volta in volta toccati) i tratti dell’adesione ad una linea e di indicazioni per un futuro impegno.
A partire dal 1990 l’attività convegnistica e internazionale assume chiaramente un altro andamento. Il 1990 è l’anno della firma di un accordo di collaborazione con l’Università Carlo IV di Praga, che avvia un’intensa attività seminariale organizzata congiuntamente. L’accordo è rinnovato nel 1994, e sempre nel 1994 Nova Spes avvia un programma di collaborazione con l’Università Gregoriana di Roma. A questa attività seminariale diversamente organizzata corrisponde una diversa attività di elaborazione interna, articolata in istituti: fatta eccezione per il gruppo di lavoro sui valori, tutti gli altri istituti (di filosofia, economia, scienze) avviano la loro attività in questa fase, trasformando collaborazioni fin ad allora saltuarie e non inquadrate in una programmazione tematica in collaborazioni fisse, e acquisendone di nuove. Questa diversa forma di attività configura un metodo diverso. La presenza di istituti con scienziati ed economisti, l’avvio di una pianificazione del lavoro scientifico condotta dai responsabili dei diversi istituti, introduce il dialogo entro i saperi e tra i saperi nella fase di elaborazione interna, almeno come intento. E la collaborazione con le università è segno dell’individuazione, come interlocutore privilegiato, del mondo del sapere, ma di questo mondo al livello della formazione stessa del sapere, la struttura universitaria con i suoi compiti di ricerca e di formazione. L’intervento in situazione, l’incidenza sulla crisi dell’uomo contemporaneo, spostandosi dal consesso di grandi personalità della cultura in campo internazionale all’ambito quotidiano della elaborazione interna e della collaborazione con istituzioni culturali appare da un lato più ambizioso, dall’altro più difficile e più differito nel tempo. Più ambizioso perché la creazione di istituti voleva essere formazione al proprio interno di una comunità di saperi aperti e in dialogo, posti di fronte ai problemi mondiali, e diffusione di questa sensibilità presso un numero più vasto di studiosi, attraverso appunto la cooperazione con le università. Più difficile e più differito nel tempo perché non incideva più direttamente sulla realtà attraverso l’adesione e le prese di posizione di altissime personalità del mondo scientifico, politico, religioso, ma lavorava attraverso i canali più lenti della produzione scientifica e della formazione.
Un primo filone praticato attraverso seminari e incontri ad altissimo livello è quello della responsabilità delle scienze per la soluzione dei problemi mondiali e del dialogo tra scienze naturali ed esatte e sapere umanistico. Nel documento conclusivo del primo incontro di premi Nobel, tenuto a Roma il 21 e 22 dicembre 1980, con la partecipazione di vincitori del Nobel della fisica, della chimica, della medicina e dell’economia, L’uomo tra speranza e minaccia, spiccano due intenti: quello di discutere «la posizione della scienza nella nostra cultura» e quello di «rompere la tradizionale separazione … tra scienza e religione», intento questo facente parte della consapevolezza della necessità di una sensibilità etica nello scienziato. Nella stessa prospettiva si colloca il secondo incontro di premi Nobel, su La scienza e l’uomo globale (Roma, 6-9 novembre 1987). A tema ancora una volta la responsabilità etica dello scienziato, ferma restando la libertà di ricerca della scienza come tensione alla verità: la scienza non è neutrale dal punto di vista etico. Il dibattito tra i premi Nobel portava alla luce la responsabilità degli scienziati nel lavorare per il progresso delle condizioni dell’umanità e la necessità di sensibilizzare i responsabili delle politiche di sviluppo sulle grandi questioni dell’umanità e sulla capacità della scienza di darvi risposte. Per il maturare di una cultura scientifica equilibrata veniva sottolineata l’importanza di uno stretto legame tra cultura scientifica e cultura umanistica, ed anche l’importanza di un efficace lavoro formativo, nonché della piena circolazione dell’informazione scientifica. Nei loro interventi i premi Nobel incoraggiavano Nova Spes a lavorare in questa direzione. Sulla stessa linea si muovevano iniziative successive: il volume Per una scienza aperta, pubblicato nel 1989, con contributi di specialisti di varie branche delle scienze esatte, prevalentemente di taglio storico, mirati cioè a dare in un sintetico sguardo d’insieme le svolte fondamentali nell’evoluzione delle singole discipline, e il seminario tenuto a Praga il 20 e 21 novembre 1992 su Modelli: Scienza e Conoscenza.
Un secondo ambito di interesse è quello dell’economia in rapporto allo sviluppo equilibrato del pianeta. La prima iniziativa centrata sull’economia organizzata da Nova Spes era il III incontro di premi Nobel svoltosi nel giugno 1988 a Castelgandolfo su L’economia e lo sviluppo globale, un dialogo a tutto campo sui problemi dello sviluppo tra premi Nobel e specialisti di economia provenienti da tutto il mondo. Sviluppo globale, visto dal punto di vista economico, era, nell’analisi ivi svolta, sviluppo nel segno della planetarietà dei problemi economici, della loro interdipendenza. Nel convegno venivano sottolineati fenomeni che successivamente sarebbero divenuti più evidenti, quali la mancanza di regole del sistema finanziario internazionale, con conseguenti repentini squilibri, e la frequente discrepanza tra movimenti finanziari e andamento reale delle economie; l’economia veniva colta come un elemento fondamentale della vita dell’uomo, ma parziale, sia come realtà che come forma di comprensione e decisione. Soprattutto il problema del debito dei paesi poveri portava alla luce, al di sotto dei problemi economici, scelte politiche, e scelte misurabili sul valore ultimo costituito dall’uomo. Sviluppo globale, in questa prospettiva, significava sviluppo di tutto l’uomo. Altre iniziative pubbliche hanno avuto per tema le trasformazioni economiche nei paesi ex-comunisti, perché svolte nel quadro della collaborazione con l’Università Carlo IV di Praga: Ciò che il mercato può – e non può fare: Centesimus Annus e il problema della transizione economica in Cecoslovacchia (Praga, marzo 1992); Ricerche sull’economia delle istituzioni: governi e privatizzazione (Praga, ottobre 1992). Questi seminari hanno portato a misurare l’idea di sviluppo globale con i problemi molto specifici di una realtà in trasformazione quale appunto la Cecoslovacchia post-comunista. Nel panorama culturale di Nova Spes queste iniziative hanno rappresentato, in quella fase, riflessioni per un intervento in situazione, e cioè sullo sviluppo all’interno di un’area determinata in un passaggio storico cruciale, quello della caduta del comunismo e della transizione verso un nuovo modello economico e politico. Benché molto specifica nel suo oggetto questa riflessione ha portato alla luce alcuni elementi caratteristici generali della realtà economica, tra i quali ne va sottolineato uno centrale anche per le successive analisi sull’economia: il nesso tra sistema economico e tessuto di valori di una società, tra sistema economico e cultura. L’ultima iniziativa in ordine di tempo prima dell’interruzione delle attività è stata il ciclo di lezioni su Etica ed economia, primo e unico momento del programma di collaborazione di Nova Spes con l’Università Gregoriana, ciclo tenutosi nel semestre invernale 1994-1995.
Un terzo ambito è quello della politica internazionale, con l’intento, nella prima fase della storia di Nova Spes, di contribuire alla distensione tra i blocchi, e messo a fuoco soprattutto con l’incontro di Vienna-Laxemburg del 19-20 settembre 1986 su Una nuova speranza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Il contributo di un’Alleanza operativa tra Religione, Scienza, Comunicazione, Economia per l’attuazione dell’Atto finale di Helsinki, V Colloquio Internazionale Nova Spes. Negli interventi dei partecipanti al colloquio è chiaramente leggibile l’atmosfera segnata da quella fase storica, sospesa tra le speranze di una possibile cooperazione tra Est e Ovest e le preoccupazioni per le forti resistenze ad un dialogo in un clima di reciproca fiducia. L’Atto di Helsinki veniva colto nel suo valore di appello ad una costruzione della pace dal basso, attraverso la circolazione dell’informazione, il dialogo tra le religioni, gli scambi culturali, avendo come punto di riferimento la centralità dell’uomo.
Il IV incontro dei premi Nobel (Roma, 10-14 dicembre 1989) su Uomo-ambiente e lo sviluppo globale apre uno sguardo sulla fecondità dell’approccio qui descritto al complesso tema della tutela dell’ambiente. Il contrasto apparentemente irrisolvibile tra le esigenze di crescita dei paesi in via di sviluppo e di mantenimento dei livelli di vita raggiunti nel mondo industrializzato da un lato ed il degrado ambientale di un pianeta sempre più popolato e saccheggiato nelle sue risorse dall’altro, richiedeva, secondo le analisi ivi svolte, di essere affrontato anzitutto sul piano culturale. Le conclusioni dell’incontro, riportate in coda al volume degli atti (Man-Environment and Development: towards a global Approach, Roma 1991) indicano varie strade: una considerazione generale del rapporto dell’uomo con l’ambiente; l’elaborazione di un’etica ecologica che assuma il valore intrinseco della natura in equilibrio con le esigenze di una migliore qualità della vita; lo sviluppo di una scienza della terra come sistema, una scienza indipendente dai sistemi politici ma impegnata anche a fornire il massimo di informazione ai decision-makers; una politica dello sviluppo attenta alle identità culturali ed alla conseguente applicazione di modelli di sviluppo che non siano sterili e improduttive riproduzioni di quelli vigenti nei paesi già industrializzati (cfr. Man-Environment …, pp. 299-314). Sulla stessa linea, nel nuovo orizzonte segnato dalla caduta dei regimi comunisti dell’Est europeo, il VII Colloquio Internazionale, organizzato a Praga dal 10 al 13 novembre 1990, su Uomo-ambiente e lo sviluppo globale.

Una bussola per la complessità del mondo dopo la guerra fredda: gli anni 1995-2005

Nel 1995 Nova Spes celebrava il quindicesimo dalla sua fondazione in una fase di difficoltà di varia natura, personali e di risorse: mentre era proiettata, sulla scorta del ricordato accordo con l’Università Carlo IV di Praga, ad un lavoro di conoscenza e di contributo di idee verso il mondo dell’Est europeo uscito dal comunismo, l’Italia stessa era entrata in una profonda crisi economica, poi anche in quella crisi politica andata successivamente sotto il nome di «tangentopoli». Era in fondo, secondo letture successive abbastanza consolidate, al di là degli effettivi riscontri giudiziari, il riflesso del venir meno della contrapposizione in blocchi che aveva fissato anche in Italia equilibri politici e di potere. La malattia e la morte del fondatore di Nova Spes, la crisi finanziaria correlata alla difficile situazione italiana imponevano una sospensione delle attività. È soltanto per l’impegno del nuovo Segretario Generale, Laura Paoletti, coordinatore scientifico dall’avvio di Nova Spes, e delle personalità più vicine a Nova Spes e personalmente legate alla memoria di don Pietro Pace, che la fondazione poté far fronte alle sue difficoltà finanziarie e, sia pure inizialmente in condizioni organizzative e logistiche difficili, riavviare una programmazione culturale.
Quando viene ripresa l’organizzazione di convegni e seminari scientifici e l’attività pubblicistica (quest’ultima nel quadro di un accordo con la casa editrice Armando, mentre in precedenza Nova Spes aveva pubblicato in proprio) non è però mutato soltanto il panorama esterno, anche le modalità di lavoro all’interno sono diverse dall’immediato passato. Alcuni dei gruppi di lavoro, o istituti, secondo la denominazione che era stata data, non vedranno più la luce, altri si riuniranno in modo più sporadico. Si passa da un’elaborazione culturale legata ad un’attività permanente di confronto e discussione alla formulazione di progetti con collaborazioni più mirate. Questo nuovo stile di lavoro non dà però luogo ad una progettazione frammentata: vengono perseguiti con coerenza alcuni filoni di ricerca e di intervento, diversi di questi in chiara continuità con quanto fatto in passato, altri – forse una delle novità più rilevanti – più diretti verso la realtà italiana, quasi presa d’atto dei problemi di modernizzazione del nostro paese in un mondo trasformato e in sempre più rapida trasformazione. Anche per questa fase, come per la precedente, e in forma più breve, quanto più la storia lascia il passo alla cronaca, converrà organizzare l’esposizione più che in termini cronologici in nuclei tematici che meglio possano dare l’idea di continuità e novità di interessi.

Due parole di moda: «complessità» e «globalizzazione»

Due dei convegni di maggiore impegno dell’ultima fase dell’attività di Nova Spes affondano le radici in studi e in attività di gruppi di lavoro precedenti l’interruzione del 1995, quelli rimasti parzialmente attivi anche dopo la cesura. Coincidenza volle che in due campi diversi, come quello delle scienze fisiche, matematiche e naturali da un lato e dell’economia e della politica dall’altro, essi mettessero a fuoco termini chiave, sempre più usati e anche abusati, per connotare la nuova fase storica di fine secolo, sospesa tra la dichiarazione della fine della storia e la difficoltà nell’indovinare nuovi equilibri e anche nuovi pericoli: «complessità», trattata nell’ambito delle scienze, ma con chiari riflessi più generali, e «globalizzazione», messa in tensione con il suo reciproco, la particolarità, dove l’indagine economica sconfinava nell’analisi sociale e politica ponendo la questione dell’identità collettiva e della sua consistenza in un mondo sempre più integrato sul piano economico.
Il seminario Determinismo e complessità, tenuto a Roma il 19 e 20 giugno 1998, metteva a fuoco il tema della «complessità» e del «determinismo», seguendo poi la nozione di «complessità» in diversi ambiti scientifici, infine affiancando alla nozione di «complessità» quella di «finalismo», di nuovo attraverso l’esplorazione di vari ambiti, da quello della comunicazione e di sistemi formali all’antropologia alla chimica. Dai lavori del seminario emergeva la difficoltà ma al tempo stesso la necessità che specialisti di ambiti diversi si confrontassero sui rispettivi strumenti di comprensione del reale e ricercassero in questo modo i lati proficui e i pericoli e i fraintendimenti impliciti nel migrare di tali strumenti da un campo di indagine all’altro. Tema, come si vede, non nuovo, in continuità con le precedenti riflessioni sulla scienza, soltanto che questa volta il dialogo sui saperi riguardava, più che le scienze esatte e naturali nel loro rapporto con il sapere umanistico, le scienze stesse, la comunicazione dei rispettivi vocabolari.
Dell’anno successivo, 3 e 4 dicembre 1999, il convegno internazionale su Globalizzazione e particolarità. Processi di globalizzazione e società civile transnazionale tra universalità e particolarismi. Più di altri questo convegno, partendo dai processi economici dell’integrazione su scala planetaria, sulla finanziarizzazione dell’economia, sulla crescente interdipendenza dei mercati, faceva implicitamente i primi conti con il nuovo mondo dell’era dopo la guerra fredda: non più sistemi in contrapposizione da porre in dialogo, ma riflessione su un mondo avviato verso dimensioni per le quali l’orizzonte locale e anche nazionale appariva angusto. Il convegno quindi si rivolgeva anche agli aspetti politici (dalla crisi degli stati nazionali al ruolo delle organizzazioni internazionali) e culturali, dalle nuove affermazioni di identità alle sfide che i nuovi processi proponevano alla riflessione etica ed alla sua applicazione pratica.
Anche qui, come per la trattazione della complessità, ritornava la fecondità dell’approccio transdisciplinare: più che lo scontro pro e contro la globalizzazione e i suoi organi di governo, che avrebbe contraddistinto la stagione delle proteste no global, veniva scelto un percorso di problematizzazione e comprensione di un processo ritenuto irreversibile, che semmai imponeva una ridefinizione dei confini della sovranità politica e economica, ma anche una ridefinizione dell’identità culturale.

Due proposte di trasformazione della realtà italiana: la riforma della scuola e la proposta di legge sull’impresa sociale

Rispetto alla fase precedente l’attività di Nova Spes si caratterizza in questi anni per un più deciso impegno di studio e anche di intervento sulla realtà italiana. Significativo che l’ambito pedagogico sia stato toccato prima della cesura del 1995 su un piano storico e culturale, mettendo a confronto il pensiero di Comenio e Vico e a partire da qui due tradizioni culturali di ispirazione umanistica (Identità culturale e valori umani universali: Comenio e Vico, Praga, 4 e 5 dicembre 1992). A partire dal 1997 invece viene affrontato più concretamente il problema del rapporto del sistema scolastico con il mondo del lavoro e le sue trasformazioni: Il mondo cambia. La scuola lo sa? (Roma, 18-19 aprile 1997) segnava ufficialmente la ripresa di iniziative pubbliche di Nova Spes; lo stesso tema veniva ripreso l’anno successivo con il seminario Il bene cultura. Il male scuola (Roma, 20-22 novembre 1998) con una partecipazione internazionale più qualificata e ampia che il precedente – da ricordare in particolare la partecipazione di Edgar Morin, allora impegnato nell’analisi del sistema scolastico francese. Mentre però queste iniziative si muovono nel solco noto del lavoro seminariale seguito dalla pubblicazione di atti, il lavoro successivo in questo campo è di natura diversa: viene infatti costituito un gruppo di lavoro formato da docenti universitari e insegnanti per la formulazione di una Proposta di riqualificazione del sistema scolastico, alternativa alla riforma scolastica Berlinguer-De Mauro. Un impegno di carattere decisamente più politico di quanto mai avvenuto in precedenza, anche se su un obiettivo concreto e con una partecipazione politicamente trasversale (vedeva impegnati intellettuali di diversa estrazione quali Giulio Ferroni, Antonio La Penna, Luciana Lepri, Vittorio Mathieu, Francesco Pitocco, Lucio Russo). Un’altra novità di quest’iniziativa è data dal coordinamento con partner interessati al progetto, in questo caso il Centro studi del sindacato Gilda, l’associazione professionale Prisma, l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Punti qualificanti della proposta erano l’introduzione, già nel primo ciclo scolastico, di forme di selezione detta «orientativa», tale cioè da condizionare la scelta dell’indirizzo di scuola secondaria, l’insegnamento delle diverse discipline a diversi livelli di complessità, l’unificazione, per l’istruzione secondaria, delle aree classica e scientifica. La proposta ha suscitato critiche per il suo supposto carattere conservatore e tradizionalista, di difesa sostanziale della scuola gentiliana, ma anche indubbio interesse, confermato dalla partecipazione di docenti, esperti, operatori, al convegno di presentazione della proposta il 4 luglio 2001 a Roma, all’Accademia dei Lincei. Nova Spes non aveva inteso fare azione di lobbing, né era in grado di farla, e quindi non ha inciso sul corso della riforma scolastica. L’assetto attuale, per congiunture del tutto indipendenti dall’azione di Nova Spes, presenta alcuni aspetti vicini a quella proposta, soprattutto per ciò che concerne l’autonomia del canale della formazione professionale.
Anche la proposta di una legge sull’impresa sociale, proposta di riforma del libro V del codice civile, piegava la riflessione economica lungamente praticata a istanze più concrete di liberazione di energie della società civile nella realtà italiana e di ripensamento del welfare state. Fulcro della proposta il riconoscere a pieno titolo all’impresa sociale la sua natura di impresa aggiungendo alla definizione della natura dell’impresa il perseguimento di fini di utilità sociale. Secondo la proposta quindi l’imprenditore sociale opera sul mercato in condizioni di parità di opportunità e di rischio dell’imprenditore profit, con la differenza che non distribuisce utili. Pur con minore risonanza della proposta sulla scuola, anche su quest’iniziativa Nova Spes è arrivata a raccogliere l’interesse dei soggetti impegnati nel settore. Anche in questo caso l’intervento in situazione veniva calato in un più vasto ambito di riflessione sulle possibilità di intendere l’interesse e la gratuità nel convegno Dal bisogno alla domanda. Volontariato ed economia sociale tra gratuità ed interesse (Roma 20 giugno 2002), riuscendo a combinare riflessione filosofica, analisi economica, apporti di operatori del terzo settore.
Anche per quest’iniziativa non si può dire che l’effetto dell’azione di intervento sulla legislazione sia andato al di là del riscuotere interesse e l’attenzione di singole personalità politiche. Se contribuire alla modernizzazione del sistema italiano significa far circolare delle idee su problemi e possibili soluzioni, allora le due proposte in questione, sulla scuola e sul cosiddetto terzo settore, si possono considerare non del tutto cadute nel vuoto, anche se è soltanto una prospettiva temporale più lunga che può consentire di misurare, almeno in via ipotetica, la lungimiranza delle soluzioni proposte.

Dopo l’11 settembre 2001: il progetto sul conflitto

Dei cambiamenti di scenario che ricordavo introducendo il quarto di secolo di storia di Nova Spes, certamente l’11 settembre del 2001 con l’attacco terroristico agli USA rappresenta la data simbolicamente significativa, nella quale tutti sono divenuti coscienti dei pericoli concreti e drammatici anche nel mondo apparentemente dominato dall’unica superpotenza. Se, come documenta l’interesse per la globalità del mondo come filo rosso dell’analisi di Nova Spes fino al su ricordato convegno su Globalizzazione e particolarità, gli scenari mondiali non erano mai usciti dall’orizzonte di ricerca, essi si riproponevano con drammatica novità anzitutto come sfida alla comprensione. Anche nella prima fase della sua storia Nova Spes non aveva avuto le caratteristiche di centro di studi internazionali o di studi strategici, quindi non era secondo questo profilo, o principalmente secondo questo profilo, che poteva porsi di fronte alle nuove situazioni proposte da quello che, spesso sbrigativamente, si è definito «conflitto di civiltà». Anche questo conflitto però, come quello della guerra fredda, si presentava non solo combattuto con le armi, ma anche con l’ideologia, la comunicazione, si presentava quindi caratteri culturali, enfatizzando in particolare la sfera religiosa.
È quindi sempre secondo la linea dell’approccio multidimensionale che Nova Spes avviava, con un programma impegnativo di iniziative pensato su un arco di tempo pluriennale, una serie di approfondimenti sul tema del conflitto: Pensare il conflitto. Costruire la pace. Il progetto nel suo insieme veniva presentato il 27 febbraio 2003, in occasione del dibattito tra Francesco D’Agostino e Edoardo Boncinelli su Natura e contro, centrato sul tema di ciò che è natura e ciò che è contro natura. Confrontato con le enunciazioni su diritti e valori all’epoca della guerra fredda, il titolo Pensare il conflitto. Costruire la pace può suggerire una stretta continuità di intenti, in parte vera. Il progetto però risulta nelle enunciazioni programmatiche più ambizioso e anche complesso. Complessità rivelata anche soltanto dal voler indagare il conflitto nella sua valenza euristica e nei suoi risvolti positivi e nel voler smascherare la pace nelle sue possibili ipocrisie e rimozioni. Uno sforzo di comprensione quindi, prima ancora che un impegno morale o politico, o meglio lo sforzo di comprensione come base imprescindibile di un impegno. Anche le linee di approfondimento (Conflitto e vita, Conflitto e mercato, Conflitto e identità, Conflitto e immagine, Conflitto e regole) dicono di un intento di analisi a tutto tondo, secondo una strategia molto mediata e di lungo raggio, disposta a scavare anche in ambiti apparentemente lontani dal rivolgimento che immediatamente suscitava fin il titolo del progetto. Non è qui il luogo di dare il dettaglio delle iniziative svolte, anche perché in questo progetto, come in altri di questa fase, Nova Spes ha praticato uno stile di lavoro che sostituiva quella che in passato era stata l’elaborazione interna con agili confronti pubblici ristretti, spesso organizzati nella propria sede, utili a scambiare idee e definire le basi di iniziative più importanti. Basterà ricordare quelle esterne di maggiore rilievo, oltre la già ricordata di presentazione del progetto nel suo insieme: Il mercato: regola o detonatore dei conflitti? Analisi tipologiche, ricostruzioni storiche, prospettive (Roma, 8 novembre 2003); i due convegni della linea Conflitto e immagine organizzati congiuntamente con ISIMM, Il conflitto tra narrazione e media: dissoluzione dell’autore? (Roma, 26-27 novembre 2003) e La comunicazione tra guerra e pace (Roma, 12 maggio 2005); il convegno organizzato con la Fondazione Liberal Possiamo non dirci cristiani? L’identità in conflitto dell’Europa (Roma, 29-30 ottobre 2004). Gli atti di questo convegno, ultima pubblicazione di Nova Spes in ordine di tempo (L’identità in conflitto dell’Europa. Cristianesimo, laicità, laicismo, a cura di Laura Paletti, Bologna 2005) segna l’avvio di una collaborazione editoriale con la Società Editrice Il Mulino, e anche soltanto l’elenco di queste ultime iniziative mostra una strategia di collaborazioni mirate con soggetti analoghi, istituti e fondazioni con vocazioni più specializzate.
Non è ancora il momento, né qui la sede trattandosi di appunti per una storia, di tirare un bilancio di questa serie di iniziative ancora in corso, delle quali solo quelle relative alla comunicazione e ai media si sono più direttamente occupate dei conflitti in atto, soprattutto dell’ultima guerra in Iraq, anche in questo caso non rinunciando però ad allargare lo sguardo dalla stretta attualità alla storia e alla letteratura, provando ad avvicinare il modo di raccontare la guerra perfino ai poemi omerici con l’idea che non possiamo intendere in profondità noi stessi e ciò che siamo e facciamo adesso se non facendo ricorso al nostro retaggio, anche quello apparentemente più inattuale. Anche tutte le analisi svolte sul nesso tra conflitto e identità rimandano a questo strato profondo individuale e collettivo. La via che quest’indagine suggerisce è che il conflitto, per essere inteso in profondità, non può prescindere non soltanto da un’indagine sui fenomeni culturali, ma da un’analisi in profondità di ciò che noi siamo, anche là dove sembriamo essere soltanto spettatori del conflitto.

Non è questo il luogo neanche per tirare bilanci più complessivi: da questi appunti per una storia ognuno potrà farsi un’idea, attraverso il legame stabilito tra le varie piste di lavoro, delle continuità e discontinuità di questa vicenda culturale. Certamente anche uno sguardo superficiale ai primi documenti e testimonianze è in grado di cogliere nella prima fase di vita di Nova Spes un senso di militanza per il mutamento delle sorti del mondo forse legato all’epoca, forse anche allo slancio che caratterizza la gioventù di movimenti e organizzazioni così come quella degli individui. Un quarto di secolo non è un tempo talmente lungo da permettere di vivere sui fasti della propria storia, ammesso che questo si possa mai fare; è però un tempo abbastanza lungo da poter affermare una qualche tenuta di un’idea o un’intuizione di fondo, anche se da guadagnare sempre di nuovo nella novità delle situazioni. D’altra parte nella vita degli individui come delle istituzioni il senso del proprio essere va sempre riguadagnato, ci sono stagioni in cui si fatica a rintracciarlo, altre nelle quale si crede di averlo come sicura guida davanti. Questa però non è storia che si possa scrivere qui, va vissuta prima di poterla scrivere.

 

Pierluigi Valenza
(Università di Roma La Sapienza)

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