L’occasione perduta dei liberali

Gianfranco Pasquino

L’intervento di Cofrancesco è viziato da una premessa sbagliata. Il fascicolo “Liberali, davvero!” non intende affatto essere una replica a “Quelli che… la democrazia”. Nessuno di noi veniva colà criticato e, personalmente, condivido molte delle critiche rivolte a quei sedicenti (sic) democratici. I contributi a “Liberali, davvero!” stanno in piedi, alti e ritti, da soli senza bisogno di nessun antenato e nessun supporto. Mirano a mettere in rilievo le inadeguatezze, le contraddizioni, le problematiche irrisolte nelle analisi della politica italiana e della (quasi inesistente) etica pubblica di alcuni sedicenti (sic) liberali, ovvero di commentatori e studiosi che tali, orgogliosamente, si dichiarano. Il richiamo ai classici non è esercizio da eruditi, ma è essenziale per ripensare oggi il liberalismo, non solo italiano. Non capisco perché Cofrancesco e altri ci accusino di anti-berlusconismo, un tema assolutamente marginale nei nostri capitoli. Giusto, invece, lo ribadisco, criticare coloro che non criticano le caratteristiche illiberali del berlusconismo: conflitto di interessi, interpretazione della sovranità popolare, uso strumentale della religione, insistita sfida alla separazione dei poteri, duopolio televisivo. Non capisco, poi, perché Cofrancesco scriva addirittura trenta mila battute se ritiene che, cito, “rispondere alle argomentazioni dei liberali davvero, è tempo sprecato”.
Nessuno di noi, collaboratori di quel fascicolo, ritiene che sia mai “tempo sprecato” interloquire con chi non la pensa come noi in un dibattito pubblico, a maggior ragione su un tema importante. Semmai, non sprecherò il tempo dei lettori con una lunga e verbosa replica, rinviando, invece, ai testi pubblicati a cominciare da quello, denso e colto, di Francesca Rigotti “del quale”, scrive elegantemente, ma contraddittoriamente, perdendo una buona occasione, Cofrancesco, “non varrebbe certo la pena occuparsi per la debolezza delle argomentazioni teoriche e la sconcertante superficialità ‘ermeneutica’”. Mi affretto a segnalare che “elegantemente” è avverbio scherzoso, consono all’ironia che percorre gradevolmente l’articolo di Rigotti (come anche quello di Salvatore Veca) e che, purtroppo, i nostri critici, molto compresi di se stessi e del loro ruolo di numi tutelari del liberalismo italiano, non hanno capito e meno che mai sanno farne uso. Tutto il resto del troppo lungo e “sprecato” intervento di Cofrancesco è una critica, sempre discutibile, dell’interpretazione che Rigotti offre del pensiero di Kant facendo gli opportuni riferimenti a quanto hanno scritto alcuni commentatori liberali. Liberissimo è Cofrancesco di non condividere le nostre interpretazioni. Neppure io condivido le sue posizioni. Ad esempio, punto molto rilevante, che Cofrancesco non ha colto dai miei due articoli, che se gli elettori vengono equiparati ai consumatori, allora, esattamente come i primi possono sbagliare, votando, anche i secondi commettono errori, investendo e consumando. Meglio, dunque, non pensare al mercato sregolato come un perfetto allocatore di risorse. Purtroppo, Cofrancesco ha preferito non confrontarsi con quanto scritto da Berti e Messori sul delicato tema del rapporto fra liberismo e liberalismo politico. Sappiamo che neppure la democrazia è una perfetta allocatrice di “beni”, ma ha meccanismi, come l’alternanza, e limiti al potere delle maggioranze, proprio come voluti dai liberali classici, che impediscono le degenerazioni possibili nei mercati sregolati. La mia non-condivisione non significa che Cofrancesco non abbia la facoltà di continuare a definirsi liberale e a sentirsi in buona compagnia con coloro che del liberalismo, politico, etico, culturale, fanno un disinvolto uso à la carte. Che è esattamente quello che abbiamo criticato ricevendo astiose repliche, non su quello che abbiamo scritto, ma sulle nostre persone. Quanto di più illiberale, meglio di quasi stalinista, si possa immaginare.

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